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Termografia di un carico radioattivo di un convoglio ferroviario

In ingegneria nucleare si definisce scoria radioattiva lo scarto di combustibile nucleare esausto derivante dalla fissione nucleare nel nocciolo o nucleo del reattore nucleare a fissione. Questa definizione però è incompleta: il combustibile esausto è infatti considerato scoria nucleare di III categoria, cioè scorie di alta radiotossicità e di grande persistenza nell'ambiente. Si classificano come scorie di I e II categoria invece i prodotti contaminati o rifiuti radiologici da ambito nucleare, industriale e radioterapico; per esempio le tute antiradiazioni usate da chi lavora nelle centrali hanno una radioattività bassissima e sono classificate come scorie nucleari di I categoria.

Descrizione[]

All'interno di un reattore nucleare a fissione il materiale fissile (uranio, plutonio ecc.) viene bombardato dai neutroni prodotti dalla reazione a catena: tuttavia non si ha mai una fissione totale di tutto il "combustibile", anzi la quantità di atomi effettivamente coinvolta nella reazione a catena è molto bassa. In questo processo si generano quindi due principali categorie di atomi:

  • una quota di atomi "trasmutati" che hanno "catturato" uno o più neutroni senza "spezzarsi" e si sono dunque "appesantiti" (si tratta di elementi facenti parte del gruppo degli attinidi).
  • una parte di cosiddetti prodotti di fissione cioè di atomi che sono stati effettivamente "spezzati" dalla fissione e sono pertanto molto più "leggeri" dei nuclei di partenza (cesio, stronzio ecc); in parte sono allo stato gassoso.
Nuclear waste decay it

Radiotossicità (in sievert per gigawatt termico all'anno) del combustibile esausto scaricato dai reattori per diversi cicli del combustibile, in funzione del tempo. È altresì indicato l'andamento dei prodotti di fissione (approssimativamente simile per tutti i cicli) e la radiotossicità dell'uranio naturale e del torio 232 di partenza. Entrambe queste categorie, accumulandosi, tendono ad impedire il corretto svolgersi della reazione a catena e pertanto periodicamente il "combustibile" deve essere estratto dai reattori ed eventualmente riprocessato cioè "ripulito". Complessivamente questo "combustibile esausto" (o "spento") costituisce le scorie radioattive. Si noti che i cicli all'uranio determinano scarichi nettamente più radiotossici e di lunga vita rispetto ai cicli al torio, e che gli attuali reattori (2ª e 3ª gen. ad uranio) determinano i risultati di gran lunga peggiori con ben un milione di anni per ridurre la radiotossicità al valore dell'uranio di partenza. Per dare un'idea del valore di un sievert, si tenga presente che la dose che in media un uomo assorbe in Italia in un anno per esposizione alla radioattività naturale è in media di 0,0024 Sv, con sensibili variazioni regionali e locali

Come visibile in figura, a seconda del "combustibile" e del ciclo (cioè in pratica della tipologia di reattore/i) utilizzati, la radiotossicità delle scorie può essere nettamente differente; questo si traduce in tempi di isolamento delle scorie che oscillano indicativamente dai 300 anni al milione di anni. Questo è il tempo necessario affinché le scorie diminuiscano la loro radiotossicità fino al valore dell'uranio naturale; dopo tale periodo la radiotossicità delle scorie non è zero, ma comunque, essendo pari a quella dei giacimenti di uranio normalmente presenti nella crosta terrestre, è accettabile in quanto sostanzialmente si ritorna -in termini di radiotossicità- alla situazione di partenza.

Prodotti di fissione[]

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Materiali irraggiati o contaminati[]

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Produzione[]

A differenza di quanto si pensi le scorie nucleari, non vengono prodotte solo da centrali nucleari, ma vengono prodotte da diverse fonti, quali:

  • Centrali nucleari, sono la maggiore fonte di scorie nucleari al mondo;
  • Medicina, prodotte principalmente da alcuni macchinari per analisi[1];
  • Industriali, prodotte sia per le analisi produttive di parti metalliche, che da altre applicazioni di analisi e ricerca[1].

Riprocessamento[]

Come detto, in realtà, il combustibile estratto ("scaricato") dai reattori contiene ancora una grandissima quantità di elementi fertili (torio, uranio 238...) e fissili (uranio 233, 235, plutonio) potenzialmente utilizzabili. In particolare le scorie degli attuali reattori (2º e 3º generazione funzionanti ad uranio) contengono una grandissima quantità di U238 (94%), una piccola quantità di U235 e di plutonio (2%) una ancor minore quantità di altri nuclei pesanti (attinoidi) mentre un 3-4% è dato dagli atomi "spezzati" cioè dai prodotti di fissione.

Benché il plutonio sia radiotossico, il suo recupero insieme all'uranio 238 e 235 è talvolta attuato. Il problema è che tali atomi sono frammisti ai prodotti di fissione (anch'essi altamente radiotossici) e vanno dunque separati. Tale processo è detto ritrattamento o riprocessamento delle scorie e produce da un lato nuovi elementi fertili e fissili, dall'altra delle scorie inutilizzabili ed estremamente pericolose che devono essere collocate in luoghi sicuri. Per quanto riguarda i costi, dovendo operare sul "combustibile irraggiato" cioè "spento" ovvero altamente radioattivo, il ritrattamento è una operazione estremamente onerosa e non è detto che sia economicamente conveniente effettuarla.

Va inoltre sottolineato che gli impianti di ritrattamento (così come quelli di arricchimento) sono ovviamente a rischio di incidente nucleare; lo stesso trasporto dei materiali da e per questi impianti è soggetto a rischi. Alcuni degli incidenti più gravi oggi noti sono infatti avvenuti in queste installazioni. Nel 2008 in Francia sono avvenuti alcuni incidenti riguardanti proprio impianti di ritrattamento (come quello di Tricastin gestito dalla Areva).

Per tali motivi non è detto che il ritrattamento venga attuato (alcuni paesi come gli USA hanno deciso di non ritrattare il combustibile esausto): pertanto con "scorie" si può intendere sia il combustibile scaricato dai reattori, sia lo scarto inutilizzabile dei processi di ritrattamento. Nei due casi i volumi da smaltire (così come i rischi ed le problematiche citate) sono molto differenti.

Le scorie nel ciclo del combustibile nucleare[]

A partire dall'uranio purificato, si ottiene il combustibile arricchito (al 3.5% di U235) ed una grande quantità di uranio impoverito di scarto. Dopo l'uso in reattori, si ottiene il "combustibile esaurito" (linea nera continua del grafico delle radiotossicità sopra riportato) che è estremamente più pericoloso e radiotossico dell'uranio di partenza. La maggior parte dei paesi dotati di impianti nucleari (per es. gli USA) considerano il combustibile esaurito come scorie nucleari da smaltire.

Il combustibile esaurito può essere riprocessato per separarne le componenti, con particolare interesse per il plutonio, considerando come scorie solamente i prodotti di fissione (linea rosa del grafico delle radiotossicità); si ricava anche una gran quantità di uranio di ritrattamento che tuttavia non è adatto al riutilizzo in reattori nucleari in quanto contaminato da altri atomi pesanti (attinoidi). Il riprocessamento può essere effettuato a scopo civile o militare, in quest'ultimo caso a scopo di ottenere materiale per la costruzione di armi atomiche.

A partire dagli anni ottanta, specialmente in Francia, è stato messo a punto un combustibile costituito da plutonio ed uranio impoverito, denominato MOX (mixed oxides, ossidi misti, a causa del fatto che è costituito da biossido di plutonio e biossido di uranio impoverito); attualmente viene prodotto in quantitativi solo dalla Francia (l'Inghilterra ha un impianto non operativo a Sellafield) ed usato in una trentina di reattori europei: tuttavia Belgio, Germania e Svizzera ne cesseranno l'uso appena terminate le riserve acquistate negli anni novanta in Francia ed Inghilterra. Il MOX esaurito, rispetto al combustibile esaurito bruciato una sola volta, contiene un tenore ancora più elevato di Pu 240 ed isotopi superiori, rendendo più problematico e quindi più antieconomico un ulteriore ritrattatamento.

Nel ciclo del combustibile nucleare, il combustibile esaurito viene trattato direttamente come scoria radioattiva laddove non vengano eseguite pratiche di riprocessamento, altrimenti le scorie provengono dagli scarti del riprocessamento o dal combustibile MOX esausto, da cui non può essere ricavato plutonio utilizzabile.

Depositi in cavità sotterranee o in miniere e depositi geologici[]

Scorie20italia

Siti di stoccaggio italiani

Attualmente vengono principalmente proposti due modi per depositare le scorie (preventivamente solidificate se liquide o gassose): per le scorie a basso livello di radioattività si ricorre al deposito superficiale, ovvero il confinamento in aree terrene protette e contenute all'interno di barriere ingegneristiche; per le scorie a più alto livello di radioattività si propone invece il deposito geologico, ovvero allo stoccaggio in bunker sotterranei profondi e schermati in modo da evitare la fuoriuscita di radioattività nell'ambiente esterno. Al 2003 tuttavia non esisteva al mondo alcun deposito geologico definitivo in esercizio[2].

I siti di destinazione ottimali vengono individuati e progettati in base a rigorosi studi di natura geologica, come il deposito Konrad, in Germania[3], che ha subito un esame più approfondito che rispetto al vicino deposito di Asse. Il deposito geologico di Asse in Germania, ricavato in una miniera di potassa aperta dagli inizi del Novecento[4], venne inizialmente studiato negli anni sessanta. In seguito allo scavo di ulteriori camere per lo stoccaggio di rifiuti a bassa e media attività[4], venne raggiunta la parte più esterna della miniera[5]. Data la conformazione delle rocce e dell'uso abbastanza intensivo della miniera, oltre che l'uso di materiale di riempimento proveniente dai processi di lavorazione della potassa e per i naturali movimenti delle rocce[5], negli anni si ha avuto un iniziale e successivo aumento delle infiltrazioni d'acqua, andando ad intaccare la tenuta di alcuni contenitori che contenevano i rifiuti radioattivi, portando a perdite di cesio; questo porta anche a ritenere che non fossero stati condizionati correttamente parte dei rifiuti[6] e che alcuni contenitori non fossero a tenuta[6]. Nonostante si ritenga generalmente che le miniere di sale siano immuni alle infiltrazioni d'acqua e geologicamente stabili, e pertanto adatte ad ospitare per migliaia di anni le scorie nucleari, nel caso di Asse le infiltrazioni ci sono e le perdite di sostanze radioattive sono state rilevate per la prima volta nel 1988. Gli studi preliminari effettuati negli anni sessanta viceversa consideravano Asse una locazione adatta per lo stoccaggio dei rifiuti a bassa e media radioattività, rispettivamente LAW e MAW. Per eliminare le infiltrazioni, si stanno studiando vari metodi per la stabilizzazione delle rocce che formano il deposito[5]. Seppur al livello di bozza, vi è anche la possibilità che i rifiuti vengano recuperati, nel caso che questo non comporti rischi maggiori per la popolazione e per il personale che dovrà maneggiare i rifiuti[7][8].

In genere comunque, prima del riprocessamento o comunque prima del deposito delle scorie, queste vengono stoccate per non meno di 5 mesi[9], ma arrivando anche agli anni di attesa, in apposite piscine d'acqua situate nel complesso della centrale che hanno lo scopo di raffreddare il materiale radioattivo, e schermare la radioattività generata dagli elementi con emivita (o tempo di dimezzamento) più breve, in attesa che questa scenda a livelli accettabili per intraprendere la fasi successive.

A parte tali elementi molto pericolosi ma a vita breve, il problema maggiore legato alle scorie nucleari riguarda infatti l'elevatissimo numero di anni necessari affinché si raggiunga un livello di radioattività non pericoloso. Il "tempo di dimezzamento" è il tempo che un determinato elemento impiega a dimezzare la propria radioattività: è quindi necessario un tempo molte volte superiore alla "emivita" affinché l'elemento perda il proprio potenziale di pericolo. Si consideri che ad esempio il plutonio, con un'emivita di circa 24000 anni, richiede un periodo di isolamento che è nell'ordine di 240 000 anni e che, nel suo complesso, il combustibile scaricato da un reattore di 2º o 3º generazione ad uranio mantiene una pericolosità elevata per un tempo dell'ordine del milione di anni (si veda il grafico soprastante).

Belgio[]

Sono in corso accertamenti su uno strato di argilla a 200 metri di profondità sotto la cittadina di Mol, nelle Fiandre, per valutare la fattibilità di un deposito geologico.

Canada[]

Da anni è attivo nel Whiteshell Provincial Park, nel nord del Paese in Manitoba, un laboratorio sotterraneo per lo studio di una vasta formazione di granito che potrebbe ospitare un deposito geologico.

Finlandia[]

Sono stati avviati nel 2004 a Olkiluoto, sulla costa meridionale del Paese, gli scavi per la costruzione del primo deposito geologico al mondo per lo smaltimento definitivo di scorie radioattive. I lavori - gestiti da Posiva Oy[10] - proseguiranno fino al 2020 quando le gallerie scavate nello zoccolo di granito che sorregge la penisola scandinava accoglieranno 5 531 tonnellate di scorie.

La Posiva ha in realtà già evidenziato che le scorie dei nuovi reattori EPR pongono seri problemi per lo stoccaggio in questo deposito[11].

Francia[]

È in fase di costruzione un laboratorio sotterraneo a Bure, nell'est del Paese, per studiare la fattibilità di un deposito geologico in una formazione di argilla.

Germania[]

Il deposito di Asse (distretto di Wolfenbüttel nel sud-est della Bassa Sassonia) fu ricavato in una miniera di sale (precisamente di potassa) aperta dagli inizi del Novecento[12]. Venne inizialmente studiato negli anni sessanta e raggiunge una profondità di 750 metri. In seguito allo scavo di ulteriori camere per lo stoccaggio di rifiuti a bassa e media attività[12], venne raggiunta la parte più esterna della miniera[13]. Data la conformazione delle rocce e dell'uso abbastanza intensivo della miniera, oltre che l'uso di materiale di riempimento, negli anni si è avuto un deciso aumento delle infiltrazioni d'acqua, andando ad intaccare la tenuta di alcuni contenitore che contenevano i rifiuti radioattivi, e causando perdite di cesio. Nonostante si ritenga generalmente che le miniere di sale siano immuni alle infiltrazioni d'acqua e geologicamente stabili, e pertanto adatte ad ospitare per migliaia di anni le scorie nucleari, nel caso di Asse le infiltrazioni ci sono e le perdite di sostanze radioattive sono state rilevate per la prima volta già nel 1988, ovvero dopo una quindicina d'anni. Gli studi preliminari effettuati negli anni sessanta viceversa consideravano Asse una locazione adatta per lo stoccaggio definitivo dei rifiuti LAW e MAW. Per eliminare le infiltrazioni, si stanno studiando vari metodi per la stabilizzazione delle rocce che formano il deposito[13]. Seppur al livello di bozza, vi è anche la possibilità che i rifiuti vengano recuperati, nel caso che questo non comporti rischi maggiori per la popolazione e il personale che dovrà maneggiare i rifiuti[14][15]. Sono inoltre stati rilevati rischi di crollo dei tunnel, con ovvi enormi rischi di una forte dispersione delle scorie.

Stati Uniti d'America[]

Nel marzo del 2008 è stato definitivamente abbandonato il progettato e mai ultimato deposito geologico reversibile posto a 300 metri di profondità sotto la Yucca Mountain (una montagna di tufo alta 1.500 metri) in Nevada, costruito dopo un percorso di ben oltre 20 anni e costato al governo federale 7,7 miliardi di dollari, che avrebbe dovuto accogliere a partire già dal 1998 77.000 tonnellate di scorie. Al momento non è stata ancora trovata una destinazione alternativa e le scorie continueranno ad accumularsi nei 121 depositi esistenti (non sotterranei) dislocati in 39 stati.[16] Il deposito di Yucca Mountain era stato progettato per essere a tenuta d'aria e a prova di infiltrazione per 10.000 anni, anche se l'economista Jeremy Rifkin sostiene che in realtà non fosse così[17]. Il deposito aveva ottenuto una licenza dal NRC per 70 anni di esercizio, in previsione di un probabile riutilizzo futuro delle scorie stesse, che contengono ancora circa il 95% di energia sotto forma di isotopi di uranio e plutonio.

Svezia[]

Sono in corso di sperimentazione nel laboratorio sotterraneo di Oskarshamn a 330 chilometri a sud di Stoccolma (realizzato tra il 1990 e il 1995, consiste in una rete di gallerie che si estende fino a una profondità di 450 metri scavata in una formazione rocciosa con caratteristiche identiche a quelle di Olkiluoto) le barriere tecniche usate per il contenimento delle scorie finlandesi. La struttura è un modello a grandezza naturale del deposito geologico in costruzione in Finlandia e di quello che si prevede di costruire nei prossimi anni nei dintorni della stessa Oskarshamn oppure a Osthammar, a nord di Stoccolma (la scelta tra i due siti è prevista per il 2011).

Svizzera[]

Sono in via di sperimentazione altre barriere nei laboratori di Grismel e Mont Terri. Anche la Svizzera dunque si avvia, terza dopo la Finlandia e la Svezia, a costruire un deposito geologico dove seppellire le scorie ad alta radioattività. Le differenze geologiche impongono in Svizzera una soluzione diversa da quella scandinava, così i tecnici hanno spostato l'attenzione sull'argilla opalina, uno strato omogeneo di roccia sedimentaria stabile, non soggetto a terremoti e attività tettonica, che si estende sotto la regione del Weinland zurighese. Nel 2002 è stato presentato alle autorità nazionali il piano di fattibilità per la costruzione del deposito in quell'area, senza indicazioni precise sul sito, piano poi approvato nel corso del 2006 dal Consiglio Federale. Il sito specifico sarà scelto in seguito.

Quantitativi e pericolosità[]

Secondo l'INSC,[18] la quantità di scorie prodotte annualmente dall'industria nucleare mondiale ammonta, in termini di volume teorico, a 200.000 m3 di Medium and Intermediate Level Waste (MILW) e 10 000 m3 di High Level Waste (HLW). Questi ultimi, che sono i più radiotossici, prodotti annualmente in tutto il mondo occupano il volume di un campo di pallacanestro (30 m x 30 m x 11 m). Dati i piccoli volumi in gioco, la maggior parte dei 34 Paesi con impianti nucleari di potenza ha per ora adottato la soluzione del deposito delle scorie presso gli impianti stessi in attesa di soluzioni più durature. Alcuni Paesi hanno in costruzione depositi geologici sotterranei (Finlandia, Olkiluoto, gestito da Posiva Oy), altri paesi hanno viceversa abbandonato i loro progetti (ad esempio gli USA con Yucca Mountain, Nevada, che avrebbe dovuto essere gestito dal DOE, governativo).

Tali volumi teorici di materiale non possono essere "impacchettati" realmente in spazi del medesimo volume, ma devono essere "diluiti" in spazi più ampi soprattutto a causa del calore di decadimento delle scorie, della matrice in cui queste vengono incorporate per stabilizzarle, nonché delle barriere tecnologiche necessarie a contenerle (i contenitori, detti cask). Per tali ragioni i volumi reali sono maggiori di quelli teorici del materiale radioattivo in senso stretto. Nel caso del combustibile ritrattato, le 30 tonnellate annue scaricate dal reattore, producono 60 m3 di concentrato liquido ad alta attività[9], pari a circa 130 milioni di Curie. Con i processi sviluppati per solidificare la soluzione, il volume dei rifiuti ad alta attività si riduce a 4 m3, corrispondenti a circa 8 tonnellate[9], che equivalgono a 28 m3, una volta posizionati nel canister[19].

Note[]

Bibliografia[]

  • Virginio Bettini, Scorie. L'irrisolto nucleare, UTET, 2006. ISBN 978-88-02-07352-1
  • Template:Cita libro
  • Template:En Audeen W. Fentiman, James H. Saling, Radioactive Waste Management, New York: Taylor & Francis, 2002 (2ª edizione).
  • Template:En B.V. Babu, S. Karthik, Energy Education Science and Technology, 2005, 14, 93-102.
  • Template:En Potential of thorium-based fuel cycles to constrain plutonium and to reduce the long-lived waste toxicity - (IAEA-TECDOC—1349), anno 2003.
  • Template:En Choppin G., Liljenzin J.O., Rydberg J., Radiochemistry and Nuclear Chemistry, 3-rd Ed., Butterworth-Heinemann, Oxford, UK, 2002.
  • Template:En IAEA-OECD, Uranium 2003: Resources, Production and Demand (the Red Book), Extensa-Turpin, Bedforshire, UK, 2003.
  • Template:En Cochran R.G., Tsoulfanidis N., The Nuclear Fuel Cycle: Analysis and Management, 2nd Ed., ANS, La Grange Park, IL, USA, 1999.

Voci correlate[]

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